Il pensiero critico
30-06-2025
Bonhoeffer e la stupidità
LIBERTÀ
30-06-2025
Bonhoeffer e la stupidità
Immagina per un istante un meccanismo silenzioso che, senza armi né incendi, trasforma persone di grande intelletto e buon cuore in ingranaggi obbedienti di un sistema distruttivo. Questo era l’avvertimento di Dietrich Bonhoeffer nel 1943, alla vigilia della sua esecuzione in una cella nazista: la vera minaccia non risiedeva nella malvagità esplicita, bensì in una forma sottile e collettiva di stupidità, capace di anestetizzare il pensiero critico e di farci agire come semplici esecutori di ordini altrui.
Bonhoeffer non indicava l’ignoranza o la bassa capacità intellettiva, ma una «stupidità funzionale» che si insinua nei rapporti sociali, nelle istituzioni, nella cultura. È un virus culturale che si diffonde attraverso la conformità: quando le regole smettono di essere oggetto di interrogazione e diventano automatismi, il buon senso viene sostituito da un’alternativa ancora più subdola, la convinzione che «così fan tutti» sia garanzia di ragionevolezza. La società, in tal modo, pensa per te e la responsabilità individuale viene esternalizzata, perché «chi pensa troppo è pericoloso e rallenta il sistema».
A conferma delle riflessioni di Bonhoeffer, la psicologia moderna ci mostra meccanismi ormai familiari. Nel 1951 Solomon Asch dimostrò come la pressione del gruppo porti oltre il 70 % dei partecipanti a negare ciò che vedono con i propri occhi pur di uniformarsi ai compagni. La paura dell’emarginazione supera il desiderio di avere ragione, e l’individuo rinuncia al proprio giudizio pur di non «stare fuori dal coro». Pochi anni dopo, Stanley Milgram rivelò quanto sia facile indurre persone comuni, sedicenti normali, a infliggere scosse elettriche potenzialmente mortali a un’altra persona, semplicemente perché un’autorità legittima lo chiedeva. I volontari, pur sofferenti nel corpo e nella mente, continuavano a obbedire, dismettendo la propria responsabilità morale.
Nel presente, la stupidità organizzata ha assunto volti nuovi. Non ha più bisogno di divise o decreti, ma di algoritmi e interfacce seducenti: i social network diffondono bolle di conferma che rinforzano convinzioni preesistenti, mentre l’effetto Dunning–Kruger alimenta la sicurezza di chi conosce poco e parla tanto. Le neuroscienze confermano che le informazioni contrastanti innescano una reazione simile al dolore fisico, rendendo la riflessione un atto di coraggio tanto più temuto quanto più radicale.
In una società che premia la reazione immediata e demonizza la complessità, pensare davvero diventa una forma di resistenza. Significa mettere in discussione le opinioni più diffuse, accettare l’incertezza e sopportare l’isolamento di chi non si adegua alla narrazione dominante. È un gesto di disobbedienza intellettuale: recuperare la responsabilità di chi è autore dei propri pensieri e non mero esecutore di stimoli esterni. Bonhoeffer ci ha lasciato non soltanto un monito sul passato, ma una chiave per il presente: la lucida capacità di dubitare e di interrogarsi.
Nel momento in cui l’abbandono del pensiero critico diventa la norma, restare vigili è un atto di sopravvivenza intellettuale. Non basta avere un’opinione, è necessario esplorarne le radici, metterla alla prova e accettare il rischio di scoprirla fragile. Rimanere indifferenti, fingere di non aver compreso l’appello alla consapevolezza, equivale a rinunciare alla nostra libertà interiore. Ecco perché, oggi più che mai, è indispensabile custodire il silenzio del dubbio, accogliere le domande scomode e difendere con fermezza la responsabilità di pensare con la propria testa.